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Napoleone a Marengo, fortuna e gioco di squadra

di Marco Gioannini

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Venerdí 15 Agosto 2008

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E l'impresa quasi quasi gli riesce, anche perché - per quanto sorprendente possa sembrare - per vincere la battaglia Bonaparte non fa quasi nulla; anzi fa molto per perderla. Per tutto il giorno è apatico e poco reattivo, addirittura attardandosi per molte ore presso il suo quartier generale a parecchi chilometri dal fronte. Anche ai leader più grandi capitano le giornate storte.

Nella rara circostanza in cui il talento militare del comandante latita, a spostare le sorti della battaglia a favore delle armi francesi sono allora i luogotenenti del Primo Console: su tutti, i generali Desaix, Kellermann, Victor, Lannes, Marmont e Gardanne, molti dei quali diventeranno negli anni successivi marescialli di Francia. Come Bonaparte, sono figli di un tempo nuovo e incarnano una precisa idea di modernità: ambiziosi di successo e proprietà, animati da una feroce volontà di scalare in fretta il nuovo ordine sociale che va formandosi. E perciò - al contrario delle loro controparti austriache - capaci d'iniziativa e decisioni autonome, pronti ad assumersi rischi e responsabilità personali. Socialmente individualisti, quasi sempre in competizione fra di loro, hanno appreso, però, il valore del lavoro di squadra, del coordinamento delle forze, del "fare sistema" in vista di un obiettivo comune. Ciò che permette loro di vincere alle sei del pomeriggio una battaglia che tre ore prima era malamente perduta.

Se la leadership di Napoleone non brilla di luce particolare a Marengo e a vincere la battaglia toccherà ai suoi intelligenti subordinati, efficacissime e di sconcertante modernità saranno, invece, le abilità di manager e di straordinario comunicatore che egli metterà in luce nello sfruttamento del successo militare. A partire dalla sera stessa della battaglia, Marengo comincia a dare il suo contributo alla creazione del mito napoleonico. Se la vittoria è stata acciuffata all'ultimo momento e con poco merito di Bonaparte, tutto questo in breve scompare, relegato all'oblio dei meri accidenti storici, offuscato dalla straordinaria forza evocativa e simbolica con la quale il Primo Console riesce ad associare il suo nome agli eventi militari di quella primavera.

I bollettini militari - alterati ad hoc - la stampa compiacente, la sterminata memorialistica spenderanno fiumi di parole per mostrare l'unicità e l'eccezionalità del suo genio militare. Le ricche prebende distribuite ai veterani, insieme a terreni, titoli e riconoscimenti simbolici rafforzeranno intorno a lui il consenso popolare, alimentando un processo di identificazione con il leader che ha pochi eguali nel passato («Io ero a Marengo» diventerà il motto con il quale anche il più umile fante potrà rivendicare con orgoglio la propria presenza là dove si erano fatti la Storia e il Mito).

Mito che sarà del resto celebrato dalle decine di opere d'arte commissionate o spontaneamente dedicate alla battaglia e al suo trionfatore: i dipinti di David, Gros, Lejeune; i versi e la prosa di letterati di ogni parte d'Europa, in Italia, fra i primi, Ugo Foscolo e Vincenzo Monti. E ancora: la creazione del Marengo o Napoleone d'oro (ecco l'identificazione dell'uomo con la battaglia), moneta da 20 franchi, coniata per la prima volta nel 1801 in Piemonte dall'incisore torinese Amedeo Lavy e successivamente prodotta in Francia in milioni di pezzi. O, infine, vere e proprie curiosità, come l'invenzione di un improbabile 'pollo alla Marengo', ricetta che il Primo Console avrebbe gustato la sera prima della battaglia.

Insomma, tutto serve a Bonaparte per una magistrale opera di manipolazione, appropriazione e divulgazione della battaglia a fini di propaganda politica e di autopromozione personale. Non sarà l'unica volta: la cosa si ripeterà con la grande vittoria di Austerlitz nel 1805. Ma ad Austerlitz i giochi, per così dire, sono fatti: Napoleone è già imperatore, il suo potere indiscusso, il suo mito già solido. Nel giugno 1800 le cose stanno, invece, diversamente. Bonaparte è ancora e soltanto uno dei tanti generali che gli accidenti della Rivoluzione hanno portato a emergere. Un errore, un'occasione perduta, un giorno sfortunato e può ripiombare nel limbo affollato degli emergenti falliti che popolano le turbolente cronache di quegli anni. La sua intuizione è, invece, comprendere che identificando se stesso e nessun altro con Marengo, il suo potere in Francia e il consenso intorno alla sua figura si sarebbero consolidati in modo definitivo, spianandogli la strada alle ambizioni di dominio europeo.

Con Marengo la costruzione del mito decolla e, da quel momento, non cessa più di autoalimentarsi. Dopo Marengo, nessun ostacolo si frappone fra il Primo Console e la corona imperiale: con quello che potremmo definire un capolavoro di marketing, Bonaparte è già diventato Napoleone.

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